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Tra poco più di un mese l’Expo apre i battenti a Milano, pronto per ospitare milioni di visitatori da tutto il mondo. Alle porte del capoluogo lombardo, su un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadrati, 145 Paesi hanno deciso di incontrarsi per riflettere insieme su cibo e alimentazione. Sei mesi di incontri, riflessioni, studi, dibattiti, ma anche di festa e scambio di sapori, colori e tradizioni.

Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita è il tema scelto per Expo 2015. Proprio quando gli ultimi dati della Fao mettono in luce pesanti diseguaglianze: circa 805 milioni di persone nel mondo soffrono la fame ogni giorno, mentre 1,5 miliardi sono obese. «Cattureremo l’attenzione dei visitatori», ha dichiarato Eduardo Rojas-Briales, Commissario Generale delle Nazioni Unite per Expo 2015, «e li convinceremo che porre fine alla fame nel mondo non è un sogno ma qualcosa che tutti insieme possiamo realizzare nell’arco di questa generazione. Tutti noi abbiamo un ruolo da giocare, anche attraverso l’impegno a cambiare semplici azioni e decisioni quotidiane.»

Durante i mesi dell’Expo continuerà il lavoro per la stesura di un documento condiviso da consegnare proprio al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il prossimo 16 ottobre. La Carta di Milano sarà come un protocollo di Kyoto su alimentazione e nutrizione, un manifesto di impegni e priorità, un’eredità non materiale ma morale.

I primi suggerimenti su spreco alimentare, stili di vita e agricoltura sostenibile sono stati condivisi su una piattaforma internazionale e tramite social network. Nella proposta di bozza che aiuterà la discussione dei Paesi partecipanti il primo tra gli obiettivi da raggiungere è la riduzione del 50%, entro il 2020, degli attuali volumi di cibo commestibile sprecato.

I visitatori dell’Expo potranno firmare il documento come impegno condiviso e assunzione di responsabilità. Una prima versione ufficiale della Carta sarà presentata il 28 aprile, in occasione del terzo colloquio internazionale di Laboratorio Expo, il progetto che raccoglie studi e ricerche sui temi dell’esposizione.

Immaginate di preparare il vostro pranzo e di cucinare un piatto di pasta in più. E di buttarlo direttamente nella spazzatura, anziché tenerlo da parte per riscaldarlo per cena. Immaginate di farlo ogni giorno, per un anno intero. Oppure di entrare in un bar, pagare un caffè, dire al barista di prepararvelo e poi di rovesciarlo nel lavandino. Ogni giorno, per trecentosessantacinque giorni. Chi farebbe mai una cosa del genere?

L’Osservatorio Waste Watcher ha stimato il fenomeno dello spreco alimentare nel nostro Paese e i risultati sono sconcertanti: ogni anno 5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari finiscono nella spazzatura. In valore, parliamo di una cifra attorno agli 8 miliardi di euro (pari a mezzo punto di PIL).

Il 30% dei cereali prodotti
Il 30% del pesce e dei prodotti a base di pesce
Il 45% della frutta e della verdura
Il 20% della carne e dei prodotti a base di carne
Il 20% dei semi oleaginosi e delle leguminose
Il 45% delle radici e dei tuberi

È come se ogni famiglia italiana, ogni settimana, buttasse via 630 grammi di cibo, equivalenti a una spesa di 6,5 euro. Non ce ne accorgiamo perché non notiamo più il pezzo di pane, quel poco di verdura, il mandarino lasciato ammuffire in frigo che buttiamo nella raccolta dell’umido. Fatta 100 la quantità complessiva, a livello mondiale, di cibo sprecato nelle varie fasi della catena dalla produzione alle nostre tavole, ecco le stime della FAO sullo spreco nelle singole fasi, in percentuale e in milioni di tonnellate.

32% –> 510 milioni di tonnellate si sprecano durante la produzione agricola;
22% –> 355 milioni di tonnellate nelle fasi immediatamente successive alla raccolta;
11% –> 180 milioni di tonnellate durante la trasformazione industriale;
13% –> 200 milioni di tonnellate durante la distribuzione;
22% –> 345 milioni di tonnellate li spreca il consumatore, a livello domestico e nella ristorazione;

Forse pensando al paradosso del piatto di pasta o del caffè buttato nel lavello, vedremmo tutti con maggiore chiarezza qual è il problema. Ma soprattutto, perchè utilizziamo così tanta energia per prodotti che finiscono così presto nella spazzatura?